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CHEF: Intervista a Danilo Ciavattini, giovane ed affermato chef cresciuto nella campagna viterbese

Danilo Ciavattini, giovane chef cresciuto nella campagna viterbese con grande felicità e spensieratezza, tra sapori e valori schietti e sinceri tra i contadini ed i nonni, i suoi primi maestri. Dopo vari anni trascorsi all'estero a fare gavetta ed esperienze, oggi, il suo lavoro è sperimentazione partendo dalle radici, che è la parte della memoria, fino ai rami dove nasce l’idea, con l'obiettivo di creare uno stile che non segue mode. Trae ispirazione da ciò che conosce meglio tra orti, boschi, campi e fossi, tra odori di erba e terra. Sceglie le sue materie prime da allevatori, coltivatori e uomini che lavorano per la qualità e con rispetto. Il ristorante di Danilo (che prende il suo nome) è situato a Viterbo, in pieno centro storico; lì è possibile gustare una cucina gourmet con i prodotti della Tuscia.

Come nasce la tua passione per la cucina ?

Sono cresciuto in campagna tra i fornelli di mia nonna che era solita cucinare tanto. Lei stessa coltivava la terra allo scopo del solo sostentamento familiare, senza ottiche commerciali o lucrative. La aiutavo spesso nelle sue preparazioni quotidiane e devo a lei il mio primo avvicinamento alla cucina. Inoltre, la mia curiosità mi ha sempre spinto a sperimentare cose nuove e la cucina si è sempre prestata alla perfezione a soddisfare questa mia attitudine.


Un tuo ricordo d'infanzia legato ai pranzi domenicali in famiglia.

Quando penso ai pranzi domenicali in famiglia il primo bel ricordo che mi viene in mente è la convivialità di quei momenti. Ci si trovava spesso con parenti e amici e mia madre e mia nonna mettevano in pratica, ogni volta, una sorta di rituale dell'ospitalità perchè tutto fosse perfetto, dalla tavola apparecchiata con garbo alla preparazione dei piatti....un po' come avviene nei ristoranti.


Hai trascorso tanti anni a fare esperienze nel nord Italia ed all'estero. A cosa ti è servito ? Ha letteralmente “cambiato” il tuo modo di vivere la cucina ?

A 16 anni ho fatto la mia prima esperienza fuori Viterbo in Trentino Alto Adige. Mi ha fatto maturare caratterialmente e professionalmente. Ho imparato a cavarmela da solo ed a conoscere culture diverse dalla mia. Ho frequentato cucine improntate sull'abbinamento, sulla costruzione, ma sono sempre rimasto colpito dalla cucina tradizionale in tutti i luoghi dove ho lavorato.


Qual è l'assaggio del viterbese che vuoi lasciare nei palati dei tuoi clienti ?

Io propongo un menu con piatti della tradizione viterbese realizzati in chiave moderna, con tecniche all'avanguardia e poi ho dei piatti innovativi. In tutti i miei piatti comunque si sente la mia provenienza. Un piatto che mi piace mantenere sempre nel mio menu è l'acqua cotta in quanto racchiude tutta la cultura della mia terra.


Quanto è importante oggi il concetto di territorialità applicato alla gastronomia e quanto è presente nella tua cucina ?

La valorizzazione del concetto di territorialità è di fondamentale importanza perchè un territorio, al di là dei beni culturali e paesaggistici, riesci a comprenderlo nel profondo solo grazie alla cucina. Lavorare con i prodotti del territorio è sempre un valore aggiunto perchè implica la costituzione di una rete solida con i produttori. Un ristorante deve rappresentare la vetrina di un territorio pur senza limitazioni nel provare e sperimentare il nuovo.


Quali sono le materie prime che non devono mai mancare nella tua dispensa ?

Sono quelle di qualità. Adoro cucinare la carne, la selvaggina e le verdure. Non posso fare a meno dell'olio extravergine d'oliva.


La cucina è un veicolo importantissimo per la promozione del territorio, quali sono i piatti tradizionali che più rappresentano il Lazio ?

Ce ne sono tanti. Tra tutti: gli spaghetti alla carbonara, bucatini alla amatriciana, carciofi alla giudia, la trippa alla romana, lombrichelli alla viterbese, l'acqua cotta, la pignattaccia.


Il tuo miglior piatto ?

Sono affezionato a tutti i miei piatti. Mi piace preparare piatti della tradizione rurale, originati dalle campagne. Mi piace costruire delle immagini che poi ripropongo nei piatti. Mi viene in mente il pacchero col muschio, la patata interrata oppure la terra spaccata.


Oggi l'alta cucina è più “fusion” o “tradizione” ?

Di certo la cucina è quello che ogni chef decide di trasmettere in base alla propria cultura. Tutto è basato sulla location e sul contesto in cui lavori e ti muovi. Una città come Milano, New York, Berlino tende a distaccarsi in parte dalla tradizione. Nella mia Viterbo mantengo un legame stretto con il territorio, con i produttori, con la tradizione. La tecnica è forse l'unico elemento in grado di unire questi due concetti apparentemente molto distanti.


Progetti per il futuro ?

Penso ogni giorno a cose nuove, già questo lo sento come un progetto. Nel futuro vorrei stringere ancora più “alleanze” con i produttori del mio territorio. A breve presenterò dei prodotti realizzati (partendo da mie ricette) in collaborazione con aziende locali.


Ci regali una ricetta ?

Certo !  Paccheri nel muschio scafata e acqua di bosco spray "Pasta Fanelli".


Ingredienti 4 pax

Scafata:1 kg fave, 4 punte d'aglio, 2 carciofi e mentuccia.

Per il muschio: cicorie, spinaci, maggiorana e timo.

Per la salsa: olio evo, acqua, pepe, timo e tartufo.

Per l'acqua di bosco: trombette di morte, santoreggia ed estratto al tartufo.


Procedimento scafata: sbianchire le fave e torgliere la pelle, pulire i carciofi e tagliarli sottilmente. Fare un leggero soffritto di punte d'aglio e mentuccia, aggiungere le fave ed i carciofi e portare a cottura con poca acqua. Frullare tutto e passare al setaccio aggiustando di sale. Conservare

Procedimento muschio: prendere tutte le cicorie e le erbe, sbianchire in acqua, strizzare e farle liofilizzare in forno a ventilazione a 70 gradi, dopodiché frullare e passare al passino.

Procedimento per l'acqua di bosco: fare un brodo con erbe aromatiche e cornucopie o porcini, appena avrà preso gusto filtrare ed aggiungere estratto di tartufo oppure aggiungere del tartufo in infusione dopo aver fatto questo brodo. Vengono cotti i paccheri dopodiché messi in padella con una emulsione di acqua, olio evo e pepe, e infine pecorino e parmigiano. Nel piatto si adagia sul fondo la scafata, sopra i paccheri, si grattugia del tartufo e si mettono delle erbette tipo nasturzio e ancora sopra la polvere a ricreare il muschio.


L'acqua di bosco si nebulizza sul Pacchero davanti al cliente.