PRODOTTI REGIONALI: L'aceto balsamico tradizionale, un tesoro della provincia modenese e reggiana
“In casa mia mi sa meglio una rapa, | ch'io cuoca, e cotta su 'n stecco me inforco | e mondo, e spargo poi di aceto e sapa, | che a l'altrui mensa tordo, starna o porco | selvaggio; e così sotto una vil coltre, | come di seta o d'oro, ben mi corco”.
Ludovico Ariosto
L'Aceto Balsamico Tradizionale è un
condimento tradizionale della cucina emiliana, prodotto con mosti
cotti d'uve provenienti esclusivamente dalla province di Modena e
Reggio Emilia, fermentati, acetificati ed in seguito invecchiati per
almeno dodici anni.
Pur affondando le proprie radici,
probabilmente, già in età romana, la sua produzione è documentata
a partire dal 1046. Fu molto apprezzato nel rinascimento dagli
estensi, che lo fecero conoscere all'alta aristocrazia e a numerosi
regnanti.
Prodotto fra i più apprezzati (e sovente anche imitati) della cucina italiana, dal 2000 è tutelato dal marchio di denominazione di origine protetta (DOP), riconosciuto in due differenti denominazioni: Aceto Balsamico Tradizionale di Modena (ABTM) e Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia (ABTRE). Il processo di trasformazione dei mosti può avvenire solo nelle particolari condizioni ambientali e climatiche tipiche dei sottotetti delle vecchie abitazioni e solo nel territorio delle due provincie emiliane, caratterizzato da inverni rigidi e estati calde e ventilate. Per queste ragioni non può essere ottenuto con lavorazioni industriali o su larga scala, per cui la sua la produzione è molto limitata e il prezzo piuttosto elevato.
Non è da confondersi con l'Aceto Balsamico di Modena IGP, che è un prodotto composto con differenti proporzioni di aceto di vino (assolutamente non presente nell'ABT) e mosto cotto, solitamente industriale, ed è tutelato con un disciplinare differente.
Gli antichi romani, non avendo a disposizione lo zucchero di canna, che verrà introdotto nell'XI° secolo da Genovesi e Veneziani, erano usi cuocere e ridurre i mosti d'uva in diverse concentrazioni che definivano come saba, defrutum e caraenum, come tramandatoci da Virgilio nelle Georgiche.
È facile immaginare che ben presto gli stessi latini abbiano visto prodotti delle più basse concentrazioni fermentare, ed in un secondo momento acetificare; ed infatti nel I° secolo d.C. lo scrittore Columella sottolineò come la sapa o il defrutum rischiavano di fermentare ed acetificare (...solet acescere...). Nel 1046 Enrico III, duca di Franconia, in viaggio verso Roma per essere incoronato Imperatore, chiese a Bonifacio III di Canossa di "quell'aceto tanto lodato (... che...) aveva udito farsi colà perfettissimo". Sebbene la parola "balsamico" non venga menzionata, l'importanza del prodotto è confermata dal fatto che Bonifacio gliene fece dono entro una botticella d'argento, e che Alberto, il visconte di Mantova, per rispondere in modo adeguato abbia inviato all'Imperatore numerosi cavalli, astori ed altri rapaci.
All'inizio del XVIII secolo il medico e naturalista Antonio Vallisnieri annota che già nel 1288, quando Obizzo II d'Este venne investito della Signoria di Modena, alla sua corte erano conservate numerose botti di aceto. Inoltre fonti frammentarie di epoca rinascimentale tramandano di differenti classificazioni delle varie tipologie di aceti presenti nel Registro Ducale Estense (1556), e del loro utilizzo secondo le diverse necessità ed occasioni.
Nel 1518 il poeta e commediografo Ludovico Ariosto, nato a Reggio Emilia e vissuto in ambito estense, scrive nella satira III indirizzata al cugino Annibale Malaguzzi un accenno all'utilizzo culinario di "acetto e sapa" come condimenti di uso comune, ponendo quindi anche un importante riferimento letterario al loro tradizionale utilizzo in area emiliana. Prodotto raffinato, destinato solo alle tavole delle famiglie più abbienti, grazie ai Duchi di Modena e Reggio venne fatto conoscere a membri illustri dell'aristocrazia europea, tanto che nel 1764, di passaggio a Modena nel corso di una missione diplomatica, il conte Voronzov, Cancelliere imperiale di Russia, chiese di inviare alcune bottigliette alla zarina Caterina la grande. Vent'anni dopo, nel 1792 il duca Ercole III ne inviò un flacone a Francoforte come dono per l'incoronazione di Francesco II d'Austria ad imperatore del S.R.I., segno questo della considerazione che (quantomeno) il duca aveva per il prodotto delle sue botti. L'aceto balsamico, segreto gelosamente conservato nelle soffitte della corte estense e delle famiglie aristocratiche del ducato, iniziò ad essere appannaggio della borghesia più ricca solamente a seguito dell'avventura napoleonica: per pagare debiti e fornitori l'amministrazione imperiale francese espropriò le proprietà dei vinti, e numerosi furono i beni venduti all'asta o utilizzati come pagamento in natura. In tale contesto di mutamenti economici e politici, il possesso di vaselli e batterie di aceto balsamico venne immediatamente percepito come un segno di ascesa sociale, e durante tutto il secolo si infittiscono le fonti documentali che fanno riferimento a passaggi, donazioni o lasciti testamentari legati a batterie di aceto. Anche presso la borghesia, così come era stato uso presso le famiglie aristocratiche, divenne buona regola aggiungere dei vaselli di valore alla dote della donna in procinto di sposarsi.
Iniziò così la prima diffusione delle conoscenze attorno al "balsamico", e nel settembre 1839 il conte savonese Giorgio Gallesio scrisse con ammirazione delle tecniche di produzione che aveva osservato nell'Acetaia dei conti Salimbeni di Nonantola. Il 4 maggio 1860, Vittorio Emanuele II in visita in città a seguito del plebiscito, ordinò il trasferimento dell'acetaia ducale presso il castello di Moncalieri dove l'incuria e la non conoscenza del prodotto portarono alla sua dispersione.
La prima e più dettagliata codifica circa le tecniche e le ricette di produzione dell'aceto balsamico risale al 1862, quando Francesco Aggazzotti scrisse una lettera all'amico Pio Fabriani in cui descrive i segreti della propria acetaia di famiglia. Nel 1863 venne affrontato il primo studio scientifico, grazie alle analisi condotte con le moderne tecniche (dell'epoca) dal chimico Fausto Sestini, che evidenziò le notevoli differenze fra tale aceto rispetto a qualunque altro tipo.
L'intero processo di produzione dell'ABT inizia dalla spremitura dell'uva e termina con la valutazione gusto-olfattiva del prodotto invecchiato. I passaggi produttivi sono ben determinati, dalla cottura del mosto d'uva, alla fermentazione alcolica, dalla biossidazione acetica mediante acetobatteri al lento invecchiamento in barili di legno.
L'ingrediente di base è il mosto d'uva cotto. Le uve utilizzate sono i trebbiani (di Spagna, di Castelvetro), i lambruschi (in tutte le loro varietà), Ancellotta, Sauvignon, Sgavetta, Berzemino, Occhio di Gatta ed in generale le uve dei vigneti iscritti alle DOC delle provincie di Modena e Reggio Emilia. La resa massima delle uve ammesse è limitata a 160 quintali/ettaro.
Le uve devono essere necessariamente coltivate nei territori provinciale di riferimento, caratterizzati da un lieve tenore calcareo e dalla presenza di macro e micro elementi. Anche l'intero processo produttivo deve svolgersi all'interno della medesima area geografica, caratterizzata da inverni rigidi ed estati decisamente calde, che rendono possibili i processi unici e particolari necessari per il corretto sviluppo del prodotto.
La cottura (gergalmente detta "cotta") del mosto d'uva, privo di qualsiasi additivo, avviene a pressione naturale, a fuoco diretto ed in recipienti aperti per circa 12-24 ore ad una temperatura minima di 30 °C, fino alla riduzione a circa 2/3 della massa totale.
La fermentazione degli zuccheri, in presenza di concentrazioni zuccherine non troppo elevate, si innesta immediatamente, e prosegue nei mesi invernali.
Una volta fermentato ed acetificato, il prodotto inizia la fase di maturazione ed invecchiamento. durante gli anni di maturazione ed invecchiamento, l'aceto balsamico tradizionale subisce una continua concentrazione, a causa della perdita di volume acquoso mediante evaporazione. Generalmente il "calo annuale" si attesta sull'8-15% per le botti più grandi, dette "di testa", incrementando fino al 12-25% per i barili più piccoli ("di coda").
L'invecchiamento è legato innanzitutto al tempo che l'aceto trascorre all'interno dei vari barili (la cosiddetta "batteria") definito come "età" o "tempo di residenza", ma anche a tutti i cambiamenti dipendenti dal tempo che occorrono nelle proprietà chimiche, fisiche e sensoriali dell'aceto balsamico tradizionale ("tempo fisico di maturazione").
La fase di maturazione dura all'incirca dieci anni: assommata ai circa 2 anni necessari per la fermentazione ed acetificazione del prodotto di partenza, ciò giustifica i 12 anni richiesti come requisito minimo per la definizione di ABT. I 25 anni richiesti per il prodotto extra vecchio sono invece definiti in modo arbitrario, poiché i processi enzimatici ed ossidativi non hanno praticamente fine, durando ininterrottamente per secoli. Per permettere questi continui scambi di ossigeno, vapor acqueo e sostanze volatili, è fondamentale che l'ABT sia conservato ed invecchiato in contenitori sostanzialmente aperti: la disponibilità di botti per il trasporto del vino alle isolate osterie di campagna (generalmente di modeste capacità), e l'accumularsi di un bagaglio di esperienze e tradizioni, ha probabilmente indotto l'utilizzo di piccoli barili di legno per la maturazione e conservazione del prodotto, al posto di altre forme di contenitori (damigiane di vetro, anfore...).
Ed infatti il legno garantisce scambi con l'ambiente esterno non solo attraverso il cocchiume di apertura, ma anche mediante la sua porosità, durante tutte le fasi di vita del balsamico tradizionale. La batteria, formata da un numero dispari di barili di legno superiore a cinque e di differente capacità, disposte in ordine decrescente, va collocata necessariamente in un luogo che risenta delle escursioni termiche fra il giorno e la notte, ma ancor di più fra l'estate e l'inverno: il processo di acetificazione, infatti, richiede una temperatura ambientale superiore ai 20-22 °C, al di sotto dei quali gli acetobatteri rimangono in stato di quiescenza. Per converso, il freddo invernale è necessario a rallentare il processo evaporativo e a far sedimentare sul fondo le sostanze mucillaginose e le parti corpuscolate del liquido, nonché a garantire una decisa attività delle parti odorose. Ed infatti ancor oggi le botti trovano collocazione nei sottotetti delle case, in modo da esporre l'aceto in invecchiamento tanto ai rigidi inverni quanto alle afose estati emiliane. Le grosse acetaie, con decine se non centinaia di batterie, sono sovente collocate in vecchi fienili riadattati, oppure in moderni capannoni studiati appositamente per garantire l'effetto delle stagioni. Per l'immissione in commercio, oltre all'età minima di dodici anni, il prodotto deve rispondere ad alcuni parametri precisi, fissati dall'art. 6 del disciplinare di produzione quanto a colore, sapore, profumo, densità ed acidità.
L'ABTM certificato viene imbottigliato in speciali bottigliette da 100 ml, di vetro bianco massiccio, sferiche con base rettangolare, disegnate in esclusiva dal designer Giorgetto Giugiaro. La bottiglietta dell'ABTRE, anch'essa di vetro bianco ed utilizzata esclusivamente per il balsamico tradizionale, ha la forma di un tulipano rovesciato.
+info
Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena
Viale Virgilio n.55
41123 - Modena
Tel.: +39 059 20 86 04
Sito web: www.balsamicotradizionale.it
Consorzio ABTRE
Via Josip Broz Tito 11/D
42123 - Reggio Emilia
Tel.: +39 0522 38 12 89
Sito web: www.acetoblsamicotradizionale.it
Consorzio Produttori Antiche Acetaie
Strada Vaciglio Sud 1085
41126 - Modena
Tel.: +39 059 39 56 33
Sito web: www.balsamico.it
Post a Comment